Piazza Giacometti
Maurizio Rinaldi scrive, a proposito di questa serie: "Alberto Giacometti scrive: -Le figure a grandezza naturale mi irritano dopo tutto, perché una persona che passa per la strada non ha peso; in ogni caso è più leggera di una persona morta o svenuta. Essa si mantiene in equilibrio con le gambe. Non sente il proprio peso, ho voluto senza averci pensato sopra, riprodurre questa leggerezza, per questo ho fatto i corpi così sottili. I concetti sono la consapevolezza della presenza immateriale di un'altra persona, l'inconsistenza del corpo che ospita questa presenza e la natura paradossale della percezione.-
-L'uomo della strada mi sorprende e mi interessa più di ogni scultura o dipinto. Ad ogni momento la folla scorre incessantemente per riunirsi e allontanarsi di nuovo. Senza posa forma e riforma composizioni viventi di incredibile complessità. Ed è proprio la totalità di questa vita che desidero riprodurre in ogni cosa che faccio.-"
Qui l'adozione del punto di vista basso, a filo del suolo, è sistematico, ma non costituisce un sistema di sequenza di tipo "statistico", con la camera fissa che analizza il mutare e il passare dei corpi in una piazza. La citazione di Giacometti è illuminante circa le intenzioni, circa la fotografia di Maurizio Rinaldi, e chiarisce anche il senso di questo punto di vista, di questa messa a fuoco su un dettaglio della pavimentazione, episodio minimale di contesto. Non interessa più il -paesaggio- se non in senso molto ampio e nemmeno la sua qualità mutevole.
Questa fotografia è esplicitamente produzione di forme, organizzate anche con dislocazioni di angolo visuale che mettono variamente in gioco i colori del fondo, trovati nel teatro povero di una dei tanti -punti di passaggio con cantiere- che tracciano un genere ricorrente nel nostro paesaggio contemporaneo. Ancora -improbabili attori-, e queste forme già erano inseguite nel Luna Park della sequenza precedente.
Siamo molto lontani da operazioni apparentemente analoghe, a cui la provenienza e il contesto culturale di Rinaldi potrebbero far riferimento: non siamo dalle parti delle -Esposizioni in tempo reale- di Franco Vaccari e siamo altrove rispetto all'uso della fotografia in direzione concettuale. Questa ripresa diurna di alcune indicazioni de –La Città Incantata- sembrano invece deconcettualizzare, riportare ad una percezione miticamente immediata dello spazio e della figura. Anche la gabbia spaziale della prospettiva centrica, apparato tecnico e linguistico inestricabilmente legato alla tradizione della camera ottica, viene obliterata, o enunciata in modo ellittico, come traccia minimale che ne suggerisce la funzione accessoria, incidentale. Qui, poi, Rinaldi costruisce forme con una fotografia molto sintetica, -modellante- in un senso diverso da quello delle prime immagini: non la riduzione in scala ma virtuale, piuttosto la sintesi astratta della forma e del movimento, come riprendendo lezioni lontane, di foto-grafia tra Albe Steiner e (soprattutto) Franco Grignani.
© Paolo Barbaro
-L'uomo della strada mi sorprende e mi interessa più di ogni scultura o dipinto. Ad ogni momento la folla scorre incessantemente per riunirsi e allontanarsi di nuovo. Senza posa forma e riforma composizioni viventi di incredibile complessità. Ed è proprio la totalità di questa vita che desidero riprodurre in ogni cosa che faccio.-"
Qui l'adozione del punto di vista basso, a filo del suolo, è sistematico, ma non costituisce un sistema di sequenza di tipo "statistico", con la camera fissa che analizza il mutare e il passare dei corpi in una piazza. La citazione di Giacometti è illuminante circa le intenzioni, circa la fotografia di Maurizio Rinaldi, e chiarisce anche il senso di questo punto di vista, di questa messa a fuoco su un dettaglio della pavimentazione, episodio minimale di contesto. Non interessa più il -paesaggio- se non in senso molto ampio e nemmeno la sua qualità mutevole.
Questa fotografia è esplicitamente produzione di forme, organizzate anche con dislocazioni di angolo visuale che mettono variamente in gioco i colori del fondo, trovati nel teatro povero di una dei tanti -punti di passaggio con cantiere- che tracciano un genere ricorrente nel nostro paesaggio contemporaneo. Ancora -improbabili attori-, e queste forme già erano inseguite nel Luna Park della sequenza precedente.
Siamo molto lontani da operazioni apparentemente analoghe, a cui la provenienza e il contesto culturale di Rinaldi potrebbero far riferimento: non siamo dalle parti delle -Esposizioni in tempo reale- di Franco Vaccari e siamo altrove rispetto all'uso della fotografia in direzione concettuale. Questa ripresa diurna di alcune indicazioni de –La Città Incantata- sembrano invece deconcettualizzare, riportare ad una percezione miticamente immediata dello spazio e della figura. Anche la gabbia spaziale della prospettiva centrica, apparato tecnico e linguistico inestricabilmente legato alla tradizione della camera ottica, viene obliterata, o enunciata in modo ellittico, come traccia minimale che ne suggerisce la funzione accessoria, incidentale. Qui, poi, Rinaldi costruisce forme con una fotografia molto sintetica, -modellante- in un senso diverso da quello delle prime immagini: non la riduzione in scala ma virtuale, piuttosto la sintesi astratta della forma e del movimento, come riprendendo lezioni lontane, di foto-grafia tra Albe Steiner e (soprattutto) Franco Grignani.
© Paolo Barbaro
Maurizio Rinaldi © 2018